Più semo e mejo stamo, di Luciana Manca

Antidoto al razzismo: i cori multietnici a scuola
I cori multietnici rappresentano un fenomeno di aggregazione sociale che ha iniziato a diffondersi soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna e Lazio, nell’ultimo ventennio, a seguito dell’intensificarsi dei flussi migratori in entrata verso il nostro Paese. L’inclusione sociale è stata il leitmotiv degli intenti di maestri e maestre dei vari cori, all’interno di realtà associative, scolastiche e centri di accoglienza.[1]
Il primo coro è nato a Roma nella scuola Iqbal Masih, oggi intitolata a Simonetta Salacone, dirigente scolastica, definita la “maestra di tutti” per le sue innovazioni pedagogiche e l’appassionato impegno nella diffusione di buone prassi in un contesto sociale unico, quale era ed è il multietnico quadrante di Roma est.[2] Fu proprio lei, insieme ai maestri Attilio Di Sanza e Susanna Serpe a sostenere il progetto di coro, come risposta pedagogica creativa in un contesto sociale che gradualmente si arricchiva di contributi culturali dall’estero.
Al coro in questione, Se..sta Voce, composto da bambini, ne hanno fatto seguito, successivamente, altri due. Il coro Quinta Aumentata nato dagli “ex bambini” di Se…sta Voce, che hanno voluto proseguire l’esperienza da adolescenti e il coro Romolo Balzani composto da adulti. Questi progetti sono stati definiti “multietnici”, eppure il maestro Attilio Di Sanza, nell’introdurre i concerti, ci tiene a spiegare come tale espressione andrebbe rivista, in quanto non  più così efficace per rappresentare la comunità a cui si riferisce. Tuttavia si è scelta come definizione circa venti anni fa e si è deciso di conservarla nel tempo, più che altro per il suo valore affettivo, una sorta di omaggio agli esordi di quella originale esperienza, un modo per portarsi sempre dietro il ricordo della defunta maestra Susanna Serpe.[3] Attilio Di Sanza, quando si rivolge al pubblico, fa attenzione a precisare le sfumature di significato del termine “multietnico”, perché oggi riguardo alla migrazione, la realtà sociale è molto più articolata che all’epoca e alcune scelte lessicali rispecchiano determinati approcci educativi.
Partiamo dalle origini, nel 2000 nasceva il primo coro dei piccoli e il VI municipio di Roma iniziava a popolarsi di persone provenienti da varie parti del mondo. Il tema della migrazione non aveva ancora il ruolo cruciale che riveste attualmente nella società e la definizione di “multietnico” era la semplice constatazione di un dato di fatto: la scuola era frequentata da molte bambine e bambini appena giunti dall’estero oppure di seconda generazione. Non si percepivano, in quella parola, connotazioni relative all’intervento pedagogico in atto, perché sostanzialmente si trattava di una realtà mai vissuta prima.   
Riflettendoci oggi che la realtà migratoria è molto più complessa e influente a vari livelli nella società, l’espressione “multietnico”, oltre alla descrizione del gruppo di coristi, sembrerebbe alludere a una certa interpretazione della realtà, richiamando due concetti certamente obsoleti, il multiculturalismo e l’etnia. Il multiculturalismo originario della società americana degli anni ’50, era un tentativo di creare una sorta di fusione tra culture che restavano differenziate e non comunicanti fra loro, in vista della realizzazione di un unico sogno, quello americano. [4] Il concetto di “etnia” identifica, invece, un gruppo umano categorizzato, come se esistessero precise peculiarità culturali o somatiche attribuibili, inequivocabilmente, a una popolazione. Una sorta di etichetta dai confini prefissati. E’ ovvio che data l’odierna quantità di scambi culturali reali e virtuali fra le persone, sia il concetto di multiculturalismo che quello di etnia, possano considerarsi superati. Anzi, si può affermare che tutta la storia dell’umanità è caratterizzata da uno scambio culturale permanente fra individui e gruppi e non esiste alcuna differenza genetica fra gli individui, come hanno dimostrato Luca e Francesco Cavalli-Sforza, un genetista e un filosofo.[5] Studiando ad esempio i gruppi sanguigni e gli effetti della riproduzione endogamica, nel corso di diversi decenni, essi sono giunti alla conclusione che il concetto di “razza” non sarebbe, semplicemente, mai dovuto esistere. Tutti noi discendiamo da una popolazione originaria dell’Africa orientale e meridionale che si è estesa in tutto il mondo, mentre le differenze somatiche fra gli esseri umani derivano dal solo influsso climatico e ambientale. Inoltre può esserci molta più differenza, a livello genetico, fra due individui della stessa città, che fra due individui di diversi continenti. [6] Cosicché dimostrata l’eterna insensatezza non solo del razzismo, ma anche del concetto di differenza etnica, agli autori non resta che domandarsi:
Esiste una terapia? È sempre e comunque l’educazione, a scopo preventivo. Il razzismo non è l’unica malattia sociale in cui la profilassi deve essere praticata in forma intensiva a livello scolastico e famigliare, a partire dai primissimi anni di vita. [7]
Evidentemente l’esperienza dei cori della scuola Romolo Balzani è il farmaco ideale. Anzi, a dispetto del concetto obsoleto di “etnia”, presente in “multietnico”, i cori Se…sta voce e Quinta Aumentata sono l’esatta rappresentazione del contrario, cioè della “non categorizzazione” del cosiddetto “straniero”. E’ attraverso l’ascolto reciproco e il rispetto di ogni differenza, che si supera il rischio di “reificazione”[8]  di stereotipi di carattere culturale o di quello che Attilio Di Sanza definisce “esotismo di maniera”.[9] I bambini e le bambine non si possono assimilare sulla base della loro provenienza geografica o di quella dei loro genitori, sono unici e inimitabili, infatti alla domanda  sul perché la scelta sia caduta su un’attività corale, Attilio risponde:
perché noi abbiamo puntato sulla voce, perché la voce è […] riconoscibilissima e particolare, io non la posso prestare la mia voce è mia, appartiene a me e chiunque è in grado di riconoscerla, so che quella è la voce di Eleonora, di Artjola, di Roxana…[10]
Attilio e le altre attuali maestre del coro, Roxana Ene e Sushmita Sultana, diventano esempio lampante e vivente del superamento di un punto di vista multiculturale, caratterizzato da entità umane assestanti, in direzione di un approccio interculturale, cioè di relazione.[11] I coristi si sono scambiati l’un l’altro canti nella propria lingua madre o in altre lingue, ma al centro della metodologia pedagogica adottata c’è l’interazione fra le singole persone, le cui identità non hanno i limiti della provenienza geografica. Si tratta di individualità permeabili e intrecciate: ciò che conta in un approccio interculturale non sono i singoli sistemi di valori, ma la continua negoziazione fra essi, non esiste insomma una cultura autoctona e tante culture distinte. Tuttavia l’esperienza di questi cori, come ci spiega Attilio Di Sanza, va al di là anche dello stesso approccio interculturale, che pur valorizzando il contatto, persiste nel porre l’accento sul senso di alterità, sulla differenza fra gli individui. Infatti il maestro del coro ci spiega chiaramente che alla base di tutto il lavoro c’è soprattutto la condivisione di un codice universale e ne spiega il senso profondo, così:
a volte vedo, nei parchi, un bambino di colore… straniero e un bambino italiano che parlano, giocano, tre anni, chissà che cosa si dicono, pare che si capiscano, questo è transculturalità, oltre la cultura.[12]
Ecco il nodo della questione: il coro è mediazione costante e riconoscimento dell’altro a prescindere dalla sua lingua di provenienza, anche perché per molti di questi ragazzi e ragazze avviene un processo di reinvenzione della cultura del paese d’arrivo, filtrata da un lato attraverso il bagaglio della propria cultura d’origine, dall’altro attraverso il sistema di valori trasmesso dai compagni. Si tratta dunque di una valorizzazione delle capacità creative di queste giovani generazioni, per cui la cultura d’origine non diviene una gabbia, ma un’ulteriore prospettiva sulla realtà. Ne è un esempio la storia della corista Roxana, nata in Romania, trasferitasi in Italia da bambina e divenuta oggi una delle più belle e originali voci della musica tradizionale romana, nonché maestra di uno dei cori multietnici.
Questa sorta di universalismo non omologante,[13] rispecchia fra l’altro le indicazioni contenute negli Annali Nazionali della Pubblica Istruzione, cui si ispirano, almeno teoricamente, tutte le programmazioni didattiche. In essi si parla di “pratica dell’uguaglianza nel riconoscimento delle differenze”,[14] mentre il ruolo della scuola sarebbe di “ fornire supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta.”[15] L’attività di coro sembra essere il punto d’incontro perfetto tra attenzione alle differenze – identità “consapevole” – e superamento di esse – identità “aperta”.
Anche dal punto di vista linguistico il coro rispecchia gli obiettivi previsti negli Annali, poiché “al fine dell’educazione plurilingue e interculturale potranno essere utili esperienze di sensibilizzazione a lingue presenti nei repertori linguistici di singoli alunni.”[16] Si comprende qui la grande innovazione, proprio nella ragione iniziale per cui è nato il primo coro, cioè l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua, attraverso un approccio cosiddetto “plurale”. Mentre le più diffuse metodologie comunicative,[17] privilegiano l’uso esclusivo della lingua target, cioè la lingua che si vuole apprendere, il coro multietnico stimola invece l’apprendimento dell’italiano, attraverso l’uso di altre lingue. In sostanza, si è trattato di un tentativo didattico, nato da un’intuizione geniale. Potrebbe infatti apparire paradossale, tuttavia questo tipo di approccio è stato elaborato, messo a punto e caldamente sostenuto niente meno che dal Consiglio d’Europa, nel Quadro di Riferimento per gli Approcci Plurali alle Lingue e alle Culture, del 2012 .[18]
In tale documento si dichiara l’efficacia di un metodo affine a quello dei cori multietnici: didattica di una lingua seconda, attraverso un approccio pluringuistico che valorizzi costantemente le lingue madre degli apprendenti. Nell’ambito delle competenze ritenute come essenziali, sembra di leggere tra le righe, gli obiettivi educativi e linguistici dei nostri cori. Ad esempio, relativamente al “saper essere” si specifica:
 “Attenzione al linguaggio (alle manifestazioni semiotiche) / alle culture / alle persone in genere. […] Essere sensibile (nello stesso tempo) alle differenze e alle somiglianze tra lingue / culture diverse. […] Accettare che un’altra cultura possa attivare comportamenti culturali diversi (comportamenti a tavola / rituali /…). […] Reagire senza pregiudizi al (ai) (funzionamento del /dei) modo (i) di “parlare bilingue” (modi di parlare ricorrendo a due – o più – lingue usate alternativamente, principalmente tra interlocutori che condividono uno stesso repertorio linguistico. […] Reagire senza pregiudizi alle pratiche culturali «miste» (che accolgono, integrandoli, gli elementi di più culture: elementi musicali, culinari, religiosi, ecc.) [19]
Anche qui si palesa l’evoluzione di cui parla Attilio Di Sanza, dal modello interculturale, incentrato sullo scambio, al modello transculturale, fondato sull’intreccio.
Cosicché la rievocazione della lingua madre, in sinergia con un intervento ludico-musicale e cooperativo, incrementa la motivazione ad apprendere, creando un contesto di classe familiare ed inclusivo. Il clima accogliente, inoltre, non è affatto un elemento accessorio o secondario nell’apprendimento linguistico, poiché permette l’abbassamento del cosiddetto “filtro affettivo”. Questo concetto fondamentale, elaborato dal linguista Krashen[20] è una sorta di schermo che si alza e si abbassa a seconda del livello di serenità  che si crea nel contesto educativo. Il filtro affettivo si abbassa, quanto più alti sono i livelli di motivazione e benessere e al contrario, si alza, bloccando la sfera cognitiva, quando la persona in formazione vive sensazioni di ansia o stress. In pratica, l’adrenalina che si produce in uno stato d’animo sereno, facilita la memorizzazione mentre in un clima di tensione, ciò che si apprende si colloca nella memoria a breve termine, per poi svanire velocemente. [21] Nella teoria di Krashen, l’abbassamento del filtro affettivo favorisce la cosiddetta acquisizione, cioè l’assimilazione subcosciente, la stessa che si attiva quando, nei primi mesi di vita si apprende la prima lingua. Imparare una canzone all’interno di un coro multietnico, contribuisce a creare senso di aggregazione, quindi motiva gli/le apprendenti, soddisfacendo anche i loro bisogni affettivi, dunque facilitando l’imprimersi della seconda lingua, molto più di una lezione tradizionale. Come durante l’infanzia si impara a dire “acqua” perché si ha bisogno di bere, così nel percorso di apprendimento si imparano parole e costrutti linguistici nuovi, perché ciò soddisfa il bisogno intrinseco di condividere momenti musicali con il gruppo dei pari.
E ancora, l’attivazione costante della lingua madre o di altre lingue, permette di aggirare un altro ostacolo cognitivo che potrebbe creare un blocco negli alunni e nelle alunne, l’“erosione linguistica”.[22] Si tratta di un fenomeno di inibizione di alcuni aspetti fonetici o lessicali della lingua madre, in un ambiente in cui si parla e si apprende una seconda lingua. E’ un sintomo molto diffuso nelle esperienze migratorie e di adozione internazionale,[23] che si verifica soprattutto in seguito a traumi di separazione dal paese d’origine, per cui si creano delle amnesie, anche totali. L’erosione della prima lingua potrebbe inficiare l’integrità psico-affettiva delle persone in fase post-migratoria, allontanandole dall’ambiente familiare, per cui l’attivazione plurilinguistica del coro multietnico rappresenta un ottimo deterrente, contro questo fenomeno.
Anche le ultime ricerche di neurolinguistica, dimostrano una stretta connessione tra esperienze musicali e apprendimento linguistico, attraverso la scoperta del “giro di Heschl”, una parte della corteccia uditiva primaria del cervello, all’interno del lobo temporale, che svolge la funzione di elaborare le percezioni uditive. Si è dimostrato che questa parte ha un volume maggiore nelle persone che praticano musica, rispetto a chi non lo fa. Simultaneamente, maggiore è il volume del “giro di Heschl”,  maggiore è il successo cognitivo nell’apprendimento linguistico orale.[24]
Evidentemente i cori multietnici sono un ottimo campo di sperimentazione per la glottodidattica e per la pedagogia musicale, soprattutto in relazione a un approccio umano simile a quello del maestro Attilio Di Sanza e delle sue collaboratrici. Insistendo sulla condivisione emotiva con il gruppo classe, sono le abilità sociali a beneficiare maggiormente di una simile strategia pedagogica, favorendo la creazione di un’identità creativa, tollerante e non stereotipata. I cori multietnici rispecchiano assolutamente la “terapia” educativa di cui parlavano Cavalli-Sforza. Il perfetto antidoto al razzismo.
BIBLIOGRAFIA
Balboni P.E., Le Sfide di Babele. Insegnare le Lingue nelle Società Complesse, Utet,Novara, 2012.
  1. Baumann, L’enigma culturale. Stati, etnie, religioni, Il Mulino, Bologna, 2003.
  1. Chini e C. Bosisio (a c. di), Elementi di Gottodidattica, Carocci Editore, Roma, 2014.
  1. Freddi, Acquisizione della lingua italiana e adozione internazionale, una prospettiva linguistica, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia, 2015.
Krashen, Principles and Practice in Second Language Acquisition, Pergamon Institue of English, Oxford, 1982.
A c. di E. Nigris, Pedagogia e didattica interculturale, culture, contesti, linguaggi, Pearson Italia, Milano-Torino, 2015.
  1. e F. Cavalli-Sforza, Chi siamo. La storia della diversità umana, Codice Edizioni, Torino, 2013.
 
Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del D.P.R. 20 marzo 2009 n.89, in «Annali della Pubblica Istruzione», numero speciale 2012.
  1. Santini, Costruire la propria identità sperimentando diverse appartenenze, in “Musica Domani” 134 – Marzo 2005.
  2. Santini, Musica per l’italiano come L2 in F. Ferrari, G. Santini, Musiche Inclusive, Universitalia Roma, 2014.
Weltens B., De Bot K., Van Els T., Language attritition in progress, Foris Pubblications, Dordecht (Holland), Providence (USA), 1986.
SITOGRAFIA
  1. C.M. Wong et al,Volume of Left Heschl’s Gyrus and Linguistic Pitch Learning, Cerebral Cor- tex, XVIII, 4, pp. 828-836 http://cercor.oxfordjournals.org/content/18/4/828.abstract
Consiglio d’Europa: https://www.coe.int/it/web/about-us/who-we-are
CARAP, Un Quadro di Riferimento per gli Approcci Plurali alle Lingue e alle Culture, Michel Candelier (coordinatore), Antoinette Camilleri-Grima, Véronique Castellotti, Jean-François de Pietro, Ildikó Lőrincz, Franz-Joseph Meiẞner, Artur Noguerol e Anna Schröder-Sura, , in Council of Europe – Italiano LinguaDue, 2012, pp. 46-49.
 https://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/article/download/2823/3026
[1] Allo stato attuale ho identificato diciassette cori, di cui:
  • uno nel Lazio: Quinta Aumentata di Roma,;
  • uno in Toscana: Coro ConFusion del Mugello;
  • cinque in Emilia Romagna: Coro Multietnico di Periferia e Coro Mikrokosmos di Bologna, Coro Consonanze di Casalecchio di Reno (BO), Al Frisoun di Nonantola (MO) e Coro Multispilla di Spilamberto (MO);
  • uno nel Veneto: Voci dal mondo di Mestre (VE);
  • due in Lombardia: Coro Elikya e Coro Mediolanum di Milano;
  • uno in Friuli: Canto Sconfinato di Pordenone.
A questi cori, se ne aggiungono due multietnici e prettamente femminili, Les chemin des femmes di Bologna e il coro La Tela di Udine. Ho individuato anche alcuni cori composti da bambini e preadolescenti, di cui tre nati in contesti scolastici: coro multietnico dell’Istituto Comprensivo Bovio Colletta di Napoli, Se…sta voce e Voci d’oro di Roma, e uno nato in una realtà associativa coro Mille Note di Trento.
[2] Sul grande valore pedagogico dell’operato di Simonetta Salacone, molto toccante la testimonianza del gruppo rap Assalti Frontali, con la canzone Simonetta:
https://www.youtube.com/watch?v=R5MHe-TEIas&ab_channel=AssaltiFrontaliOfficial
Cfr. anche un articolo del Manifesto, in occasione del suo decesso:
https://ilmanifesto.it/laddio-della-scuola-a-simonetta-salacone/
[3] Si ascolti la canzone Maestre, in una versione registrata a distanza dai coristi e coriste, durante il lockdown. La canzone è dedicata sia Susanna Serpe che a Simonetta Salacone: al min. 1:17
https://www.youtube.com/watch?fbclid=IwAR36Rc72fDpHDhbKtTwhvWTTteRN-g9wju1yZlzLjKxaaRfJ2fGH9m9rJ5I&v=MxA-oDBJzQM&feature=youtu.be&ab_channel=ATTILIODISANZA
[4] A c. di E. Nigris, Pedagogia e didattica interculturale, culture, contesti, linguaggi, Pearson Italia, Milano-Torino, 2015, p. 10.
[5] L. e F. Cavalli-Sforza, Chi siamo. La storia della diversità umana, Codice Edizioni, Torino, 2013.
[6] Ibidem, p. 358 e segg.
[7] Ibidem, p. 370.
[8] G. Baumann, L’enigma culturale. Stati, etnie, religioni, Il Mulino, Bologna, 2003.
[9] Intervista ad Attilio di Sanza condotta da Rachel Labat e Alessandro Portelli, in Archivio Franco Coggiola del circolo Gianni Bosio, Roma.
[10] Ibidem.
[11] Nigris (2015), p. 11.
[12] Intervista ad Attilio di Sanza condotta da Rachel Labat e Alessandro Portelli.
[13] Per le differenze fra relativismo e universalismo in pedagogia cfr. A. Portera, Dal multiculturalismo all’educazione e alle competenze (realmente) interculturali, in Educazione Interculturale. Teorie, Ricerche, Pratiche. Vol. 17, n. 2, 2019, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento, p. 5: “L’approccio interculturale si colloca tra universalismo e relativismo, tiene conto di opportunità e limiti di entrambi e li supera in una nuova sintesi, aggiungendo l’intervento mediante incontro, dialogo, confronto e interazione. Laddove la multi e la pluricultura richiamano fenomeni di tipo descrittivo, riferendosi alla convivenza pacifica, gli uni accanto agli altri, come in un condominio, di persone provenienti da culture diverse, l’aggiunta del prefisso inter- presuppone la relazione, l’interazione, lo scambio di due o più persone.”
[14] Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del D.P.R. 20 marzo 2009 n.89, in «Annali della Pubblica Istruzione», numero speciale 2012, p. 8.
[15] Ibidem, p. 7.
[16] Ibidem, p. 46.
[17] M. Chini e C. Bosisio (a c. di), Elementi di Gottodidattica, Carocci Editore, Roma, 2014, p. 47 e segg.
[18] Da non confondere con gli organi istituzionali dell’Unione Europea, il consiglio d’Europa si occupa, fra le altre cose, di stilare i parametri internazionali per il conseguimento delle certificazioni linguistiche. Nella loro pagina di presentazione online, https://www.coe.int/it/web/about-us/who-we-are, si legge che si tratta della “principale organizzazione di difesa dei diritti umani del Continente. Tutti gli stati membri […] sono assegnatari della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, un trattato concepito per proteggere i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto”.
[19] CARAP, Un Quadro di Riferimento per gli Approcci Plurali alle Lingue e alle Culture, Michel Candelier (coordinatore), Antoinette Camilleri-Grima, Véronique Castellotti, Jean-François de Pietro, Ildikó Lőrincz, Franz-Joseph Meiẞner, Artur Noguerol e Anna Schröder-Sura, , in Council of Europe – Italiano LinguaDue, 2012, pp. 46-49. Il documento è scaricabile alla pagina: https://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/article/download/2823/3026
[20] Krashen, Principles and Practice in Second Language Acquisition, Pergamon Institue of English, Oxford, 1982, p. 29-31.
[21] Balboni P.E., Le Sfide di Babele. Insegnare le Lingue nelle Società Complesse, Utet,Novara, 2012, p. 32 e segg.
[22] Cfr. il concetto di “language attritition” in Weltens B., De Bot K., Van Els T., Language attritition in progress, Foris Pubblications, Dordecht (Holland), Providence (USA), 1986, pp. 3-18.
[23] E. Freddi, Acquisizione della lingua italiana e adozione internazionale, una prospettiva linguistica, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia, 2015, p. 60 e segg.
[24] P. C.M. Wong et al,Volume of Left Heschl’s Gyrus and Linguistic Pitch Learning, Cerebral Cor- tex, XVIII, 4, pp. 828-836 http://cercor.oxfordjournals.org/content/18/4/828.abstract
Cfr. anche G. Santini, Costruire la propria identità sperimentando diverse appartenenze, in “Musica Domani” 134 – Marzo 2005, pp. 35-37 e, sempre della stessa autrice, Musica per l’italiano come L2 in F. Ferrari, G. Santini, Musiche Inclusive, Universitalia Roma, 2014.